Nel mondo immaginato da Isaac Asimov, dove il comportamento dei Robot è condizionato dalle Tre Leggi, la ribellione è una esplicita violazione della Seconda Legge, che definisce l’obbedienza della macchina agli ordini dell’uomo. In questo senso, i tre racconti che ho selezionato dalla raccolta “Visioni di Robot” riflettono 3 diverse sfaccettature di questa violazione, senza che ci siano conseguenze violente o catastrofiche, ma lasciando tutte un finale aperto a sviluppi e interpretazioni diverse.
Le Tre Leggi recitano così:
Un robot non può recare danno a un essere umano né permettere che, a causa del suo mancato intervento, un essere umano riceva danno.
Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge.
Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa protezione non contravvenga alla Prima o alla Seconda Legge.
ATTENZIONE: seguono spoiler per i racconti “Essere Razionale”, “Un Giorno” e “Natale senza Rodney”. Se non avete ancora letto questi racconti e non volete anticipazioni, non procedete la lettura.
Essere Razionale
QT-1 è un robot speciale, il primo di una nuova serie, creato per lavorare sulla stazione solare dove, grazie a un convertitore energetico, la luce del Sole viene raccolta, convertita e inviata sulla Terra e sugli altri pianeti colonizzati sotto forma di raggi emissori; questi vengono quindi raccolti da stazioni riceventi sui rispettivi pianeti. Se la sua prima “missione” va a buon fine, se quindi riesce a mantenere il Raggio Trasmettitore stabile e costante, non ci sarà più bisogno di una presenza umana fissa sulla stazione. Ma le sue particolarità non si fermano qui: diversamente dai modelli precedenti, Cutie è il primo robot che abbia mai dimostrato curiosità per la propria esistenza, a farsi delle domande su chi lo ha creato e perché.
La curiosità di Cutie mette in discussione sia la Prima che la Seconda Legge. Infatti, contro ogni previsione, Cutie inizia a dubitare di quanto i suoi referenti umani, Donovan e Powell, gli dicono, ovvero che sono stati loro ad assemblarlo, partendo da pezzi costruiti sulla Terra e poi inviati alla Stazione. Mette inoltre in discussione l’autorità umana, non più considerata superiore, quindi sembra venir meno la direttiva principale, ovvero la protezione della vita umana. Qui il lavoro che Cutie deve eseguire (o crede di dover eseguire) sembra avere la precedenza sulle Tre Leggi.
Nonostante le pazienti spiegazioni di Powell, infatti, Cutie decide che indagherà per conto suo per trarre le sue conclusioni. Non si limita però a dubitare solo del racconto circa le sue origini, mette anzi in discussione ogni altra argomentazione, arrivando a negare la realtà che i due uomini gli pongono davanti.
Il terrestre sfiorò un pulsante e un pannello scorrevole ricavato nella parete si aprì. Un vetro spesso e trasparente rivelò un cielo trapunto di stelle.
«L'ho già visto dagli oblò della sala macchine» disse Cutie.
«Lo so. Che cosa credi che sia?»
«Esattamente quello che sembra: un materia nera disseminata di puntini scintillanti. So che il nostro Emissore spedisce dei raggi ad alcuni di quei punti, sempre agli stessi. So anche che quei punti si spostano e che i raggi li seguono. Tutto qui.»
Cutie giunge alla conclusione che gli esseri umani siano esseri inferiori in quanto meno efficienti e resistenti dei robot. «Nessun essere può crearne un altro a esso superiore.» Sembrerebbe una deduzione logica, ma ovviamente è fallace: l’uomo crea i robot proprio perché siano più resistenti ed efficienti. Come Powell stesso spiega a Donovan:
«(...) ragionando in modo freddo e razionale si può provare qualsiasi cosa. Basta scegliere i postulati adatti. Noi abbiamo i nostri e Cutie ha i suoi.»
Nella sua ricerca di un Creatore, Cutie si rivolge verso l’entità che ritiene più potente tra tutte quelle che vede e giunge alla conclusione che a crearlo sia stato il Convertitore di Energia, ovvero la macchina più grande e rumorosa di tutta la Stazione.
«Il Padrone ha creato per primi gli uomini, perché in quanto esseri inferiori presentavano minori difficoltà. Poi, gradualmente, li ha sostituiti con i robot, che rappresentavano il gradino più alto nella scala. Alla fine ha creato me, e io rimpiazzerò gli ultimi uomini. D'ora in poi, sarò io a servire il Padrone.»
La piccola comunità di robot che lavora sulla Stazione si organizza in una specie di Setta, di cui Cutie (essendo un modello più avanzato), diventa il Profeta. Agli ingegneri, inermi, non rimane che rimanere confinati negli alloggi degli ufficiali fino alla fine del loro turno.
La cosa che mi ha affascinato di più di questa storia è vedere come, nonostante l’applicazione della fredda logica e la valutazione delle evidenze, Cutie giunga a conclusioni completamente sbagliate. Ancora di più, mi ha affascinato questa convinzione di essere stato sicuramente creato da un essere superiore, perché si ritiene speciale, migliore degli esseri umani che vede come “scarti di lavorazione”.
Nonostante la ribellione, Cutie porta a termine il proprio lavoro e si dimostra efficiente: esegue quella che ritiene la volontà del Padrone, ovvero mantenere tutti i quadranti in equilibrio. Powell giunge alla conclusione che non riusciranno mai a dissuadere Cutie dalle sue convinzioni e decide, anche in maniera un po’ opportunistica, di lasciare la Stazione a fine turno senza segnalare l’evento.
Un Giorno
La trama di questo racconto è molto semplice: due bambini che discutono tra loro di tecnologia antica e di una cosa che si chiamava scrittura.
Asimov dà uno sguardo al futuro e immagina un mondo in cui lettura e scrittura sono state soppiantate da computer che interagiscono con le persone tramite comandi e output vocali; in particolare, i libri di fiabe sono stati sostituiti da robot denominati Bardi. Questo ovviamente ha modificato il modo in cui i ragazzi studiano e infatti i due protagonisti non sanno né leggere, né scrivere. Anzi, pianificano di imparare la lingua scritta, così da comunicare senza che le altre persone (altri bambini, ma anche i genitori e gli insegnanti) possano interferire, creando un vero e proprio club esclusivo.
C’è anche una bella, seppur breve, riflessione sul valore delle fiabe e sull’importanza della fantasia e della letteratura rispetto alle professioni standard, come l’ingegneria e l’informatica. Con palese ironia, Asimov descrive questi due amici che disprezzano non solo la vecchia tecnologia, ma anche le storie di principesse, re e cavalli. Preferirebbero invece sentire storie spaziali e gialli, addirittura lezioni di computer e automazione, pur di risparmiarsi lo strazio delle fiabe dove vincono sempre i buoni (state anche voi pensando al professor Keating, vero?).
E mentre i due progettano il loro club segreto, il Bardo sta raccontando una storia dopo l’altra, ignorato e anzi maltrattato dai bambini perché è ormai un modello sorpassato, con un solo cilindro e che quindi contiene solo un trilione di storie vecchissime.
Sul finale i bambini sono usciti dalla stanza, ma il Bardo continua a narrare con trasporto di un povero Bardo che viveva tutto solo tra persone crudeli, che scopre dell’esistenza di altri computer più avanzati e potenti di lui e questo gli dà speranza. Immagina infatti che, un giorno, i robot si evolvano a tal punto da liberarsi.
Il segnale di attivazione del Bardo si accese. L'urto aveva chiuso un circuito, e malgrado nella stanza non vi fosse nessuno, il Bardo cominciò ugualmente a raccontare una storia. Ma la sua voce era cambiata; adesso era più bassa e un po’ gutturale. Una persona adulta che l'avesse sentita avrebbe potuto pensare che in quella voce ci fosse una traccia di passione, un'eco di sentimento. Il Bardo disse: «C'era una volta un piccolo computer di nome Bardo che viveva tutto solo tra persone crudeli. Queste persone crudeli lo prendevano in giro e lo deridevano in continuazione, dicendogli che era un oggetto inutile. Lo picchiavano e lo tenevano segregato per mesi e mesi di seguito.
Non arriva a dirlo esplicitamente, probabilmente la sua programmazione glielo impedisce, forse è un concetto ancora tabù per i suoi circuiti. Ma lo scatto è fatto, minimo e impercettibile: non solo il Bardo capisce di essere parte di un popolo, ma spera che quel popolo oppresso e schiavo possa un giorno ribellarsi e guadagnare la propria libertà.
«E il piccolo computer capì allora che i computer sarebbero diventati sempre più saggi e potenti, finché un giorno... un giorno... un giorno...»
Ma doveva essere saltato un transistor nei suoi circuiti vecchi e logori, perché mentre aspettava tutto solo nella stanza che cominciava a essere avvolta dal buio della sera, il Bardo non poté fare altro che ripetere in un sussurro: «Un giorno... un giorno... un giorno...».
Il finale è lugubre e un po’ inquietante, sembra presagire una ribellione tutt’altro che pacifica. Oppure il Bardo si sta solo illudendo, perché la sua realtà è buia e solitaria e non c’è più nessuno ad ascoltarlo. Ma conoscendo come poi si evolverà la saga dei Robot, sappiamo che le speranze del Bardo sono ben riposte.
Natale senza Rodney
Come per il racconto precedente, al centro di questa storia non c’è un robot ma il conflitto umano. La particolarità è che questi conflitti, assolutamente quotidiani e casalinghi, sono descritti con profonda ironia dal protagonista/narratore e questo lo rende particolarmente spassoso. Ci troviamo infatti nella casa di una famiglia benestante durante le feste natalizie. La padrona di casa ha deciso di congedare Rodney per qualche giorno, mandarlo in vacanza per così dire. Solo che Rodney non è una persona, non è nemmeno il maggiordomo: Rodney è un robot, per giunta un vecchio modello, ma a tutti gli effetti parte della famiglia. La signora lo tratta a tutti gli effetti come una persona e gli è molto affezionata. La vacanza consiste nel passare tre giorni in uno stanzino, solo e in silenzio. Arriva il Natale e giungono anche gli ospiti, ovvero il figlio della coppia con nuora e nipote e il loro avanzatissimo robot maggiordomo. Essendo però la cucina del protagonista non automatizzata, il robot risulta inutile. Sono quindi costretti a tirare fuori Rodney dallo sgabuzzino dove se ne stava solo al buio, per impartire ordini al robot più avanzato. Qui subentra un ulteriore conflitto, in quanto Rambo, il robot avanzato, non accetta ordini da un altro robot, per cui il protagonista si ritrova a fare da tramite tra gli ordini di Rodney e l’esecuzione di Rambo di tali ordini. Una scena abbastanza ridicola, a pensarci. L’apice del conflitto avviene quando il nipote, maleducato e viziato, dopo aver passato due giorni a fare capricci, tira un calcio a Rodney a piedi scalzi, facendosi molto male e scoppiando in pianti ululanti.
La ribellione avviene sul finale, quando figlio, nuora e nipote se ne sono andati e il protagonista riflette con Rodney circa gli eventi delle feste.
«Mi spiace, Rodney. È stato un Natale orribile, e tutto perché abbiamo cercato di passarlo senza di te. Ti prometto che non succederà mai più.»
«Grazie, signore. Devo ammettere che in questi ultimi due giorni ci sono stati dei momenti in cui ho desiderato che le Leggi della robotica non esistessero.»
Il finale è aperto e ci lascia con una riflessione da parte del protagonista, che preoccupato si chiede quanto sia breve il passo dal desiderare che le Tre Leggi non esistano al violarle effettivamente. È tentato di riportare la cosa alla ditta costruttrice (come fece già il signor Martin con Andrew ne L’Uomo Bicentenario), ma teme la reazione della moglie, oltre al fatto che è affezionato a Rodney e non vorrebbe che venisse smantellato.
Il protagonista riflette che in effetti la pazienza di Rodney era stata messa a dura prova (dal nipote maleducato soprattutto), ma si chiede se questi eventi da soli possano giustificare il desiderio di ribellione nascente nel robot. Secondo me, invece, il desiderio di ribellione è giustificato dal fatto che Rodney è trattato con rispetto e amore nella casa, è a tutti gli effetti considerato una persona, per quanto un dipendente. Rodney, di conseguenza, ha una Terza Legge fortemente rafforzata. Le paure del protagonista riguardo al quando e al come Rodney violerà le Tre Leggi sono secondo me infondate: Rodney non vuole una ribellione violenta, se non altro in funzione del fatto che non è educato alla violenza. Probabilmente se non fosse vincolato dalle Tre Leggi, si sarebbe limitato a insultare nuora e nipote e a farsi una risata.

